Architettura ribelle

Anarchica. Libertaria. Utopia realizzata. Il Centre Pompidou, inaugurato nel gennaio del 1977, ha superato i quaranta e per l’occasione è stata allestita una mostra (che si è conclusa lo scorso 12 febbraio) per celebrare la storia del museo e la vita dei suoi progettisti: Renzo Piano e Richard Rogers. Attraverso questa retrospettiva i visitatori hanno avuto l’opportunità di scoprire la storia dell’edificio attraverso innumerevoli ritagli di stampa, articoli speciali di riviste specializzate e reportage fotografici. Pertanto si sono potute meglio comprendere le scelte originali e anticonformiste che hanno spinto i due archistar, all’epoca sconosciuti, a realizzare un edificio tanto ribelle da diventare tra le opere di architettura più significative del Novecento.

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Si tratta di cento mila metri quadri nel cuore del Marais dedicati alle arti figurative, alla musica, al disegno industriale, alla lettura. Si tratta di uno spazio di cultura ma anche di multifunzionalità; di arte ma anche d’informazione. Lo stesso bando di gara suggeriva ai progettisti di osare, di trasgredire, di andare oltre le tipiche frontiere della biblioteca e del museo tradizionalmente intesi. Doveva essere una provocazione. E l’interpretazione più esplicita di questa volontà, tra i 681 progetti presentati al concorso, si è ritrovata nell’irriverente e sfacciata macchina culturale immaginata dai due giovani architetti. 

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Piano e Rogers, spinti dalla comune insofferenza verso modelli prestabiliti e stereotipi, hanno così realizzato un luogo del sapere innovativo e rivoluzionario, dissacrante nei confronti dell’accademia e parodia dell’immaginario tecnologico di quei tempi. Difatti interpretare il Beaubourg come trionfo dell’High-Tech è uno sbaglio: lo sfoggio del metallo colorato e dei tubi trasparenti (che connotano il sistema impiantistico) risponde ad una funzione urbana, simbolica ed espressiva, non prettamente tecnica.

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Il Beaubourg è un luogo di incontro e di contatto, di sorpresa e curiosità, composto da strade trasversali e piazze sovrapposte. Tra queste fondamentale è il ruolo che gioca il plateau esterno, poiché mette in comunicazione il museo con il quartiere, l’arte ufficiale con quella di strada. Infatti i mimi, i saltimbanchi, i musicisti che si esibiscono nella piazza ne interpretano perfettamente il suo significato: il Centre Pompidou non è nato solo per offrire cultura, ma anche per produrla. Un’ambizione, una fantasia forse impossibile, ma comunque ricercata.

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Tuttavia la machine-Beaubourg, nonostante i suoi nobili intenti, non ha convinto nell’immediato l’opinione pubblica. Ci sono state grandi polemiche e cause legali che hanno cercato di bloccare il cantiere con le motivazioni più bizzarre: la giuria, la realizzabilità, l’estetica. Un essere inquietante ed esagerato nelle dimensioni e nell’aspetto che deturpa l’eleganza di un quartiere medioevale. Una bravata insolente. Un’astronave aliena. La versione cartoon di una fabbrica. E tanto altro. Cosa c’è di serio dietro questa specie di scherzo goliardico macchinato da due giovani architetti?

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Tre cose. Uno: Beaubourg è sincero, onesto, porta a vista le parti strutturali e di servizio mostrando le viscere dell’architettura. Due: Beaubourg è contemporaneo, proponendo un modello di fruizione culturale per l’oggi e il domani. Tre: Beaubourg è modulare, nasce per adattarsi e cambiare con le esigenze del suo pubblico.

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Che sia una mostra, un’esposizione permanente, uno spettacolo musicale, un intenso studio in biblioteca, un caffè con gli amici, le ragioni per visitare il Centre Pompidou sono sempre valide. Pertanto la prossima volta che andrete a Parigi divertitevi a percorrere ed attraversare questa meravigliosa macchina della cultura, con la consapevolezza di essere in uno dei luoghi più pazzeschi e rivoluzionari dell’età contemporanea.

 

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