Venerdì, quasi tempo di week end. Già organizzato qualcosa?
In caso ancora tu non sappia che fare, con il post di oggi ti portiamo a vedere la mostra “Igloos” di Mario Merz, visitabile all’HangarBicocca fino al 24 febbraio 2019.
Una doverosa premessa: andare all’HangarBicocca mi piace tantissimo, per tre motivi:
Il primo motivo è l’edificio. Si tratta infatti della riconversione di uno stabilimento industriale (un tempo legato alla costruzione di locomotive) in un’istituzione dedicata alla produzione e promozione di arte contemporanea che con i suoi 15.000 metri quadrati è tra gli spazi espositivi a sviluppo orizzontale più grandi d’Europa. A parte questo l’edificio è bellissimo sia dentro che fuori, vi sfido ad entrare senza fotografare qualsiasi angolo.
Il secondo motivo sono le esposizioni. Ogni progetto espositivo, mai banale, viene concepito in stretta relazione con l’architettura dell’edificio ed è accompagnato da un programma di eventi collaterali e di approfondimento.
Senza contare le celebri opera permanenti:
Anselm Kiefer, I Sette Palazzi Celesti 2004-2015 (immagine sopra) e Fausto Melotti, la Sequenza, 1981; che sin dall’inaugurazione hanno reso Pirelli HangarBicocca uno dei luoghi da non perdere a Milano.
Entrambe le immagini dal sito HangarBicocca
Il terzo motivo è più materiale. L’accesso allo spazio e alle mostre è totalmente gratuito.
Lo so, non lo dovrei dire. Ma in una delle città più care d’Italia, sapere di poter fruire di uno spazio meraviglioso e di arte ben progettata, è un respiro di aria pura.
Il progetto espositivo della mostra, curato da Vicente Todolí e realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz, si trova nelle Navate e guida il visitatore attraverso una carrellata di più di trenta diversi igloo di grandi dimensioni regalando una visuale davvero inedita e di siucro impatto.
Mario Merz indaga e rappresenta tramite i suoi igloo, (opere riconducibili a delle primordiali abitazioni), le diverse relazioni tra interno ed esterno, tra spazio fisico e spazio concettuale, tra individualità e collettività. Queste opere, le prime a sancire il superamento, da parte dell’artista della superficie bidimensionale, sono caratterizzate da una struttura metallica rivestita da una grande varietà di materiali di uso comune, come argilla, vetro, pietre, juta e acciaio, mastice (materiali tipici della corrente dell’Arte Povera, di cui Merz è una figura chiave), spesso appoggiati o incastrati tra loro in modo instabile, insieme all’uso di elementi e scritte al neon.
Un particolare che mi ha molto colpita è l’uso nelle oepre della successione di Fibonacci, rappresentata tramite numeri al neon, che simboleggia energia e crescita organica. Merz, aveva già usato moltissimo la serie oltre che sulle opere anche negli ambienti espositivi (come già al Guggenheim, nel 1971, per esempio).
Perché non devi perdertela? Se conosci già l’opera di Mario Merz, la mostra ti offre l’occasione per vedere i suoi lavori provenienti da collezioni private e museali internazionali, raccolti ed esposti insieme per la prima volta in numero così ampio.
Se invece non conosci già la sua opera, è questa l’occasione giusta. Resterai senza fiato.
In copertina fotografia di Luigi Mascheroni, dove non specificato le foto sono di Interior58