Sin City

Las Vegas. Ovvero la città del vizio, dell’eccesso, della mafia e del peccato. La valvola di sfogo al puritanesimo americano. Il luogo dove giocare d’azzardo, bere smoderatamente e soddisfare qualsiasi basso appetito è espressamente concesso. Ma nonostante tutto una grande locomotiva culturale proletaria, come definirono gli studenti dell’università di Yale quando insieme ai loro docenti Robert Venturi (deceduto lo scorso ottobre), Denise Scott Brown e Steven Izenour nel semestre autunnale del 1968 andarono a visitare la città. L’obiettivo della gita era quello di analizzare le forme, gli spazi urbani e il linguaggio simbolico dell’architettura di Las Vegas come ricerca progettuale. Difatti Las Vegas rappresentava allora il concentrato di disordine che ogni città cercava di esorcizzare: casinò e hotel spontaneamente e caoticamente nati ai lati della Strip, senza alcun disegno complessivo, ma mossi solamente da interessi economici. Da cosa si poteva dunque trarre insegnamento? I tre architetti con i loro studenti andarono oltre il pregiudizio, analizzando quel fenomeno di architettura euforica che dagli anni Trenta del XX secolo ha trasformato una piccola cittadina del torrido deserto del Mojave nella Sin City per eccellenza. I risultati della loro ricerca confluirono nella pubblicazione Imparare da Las Vegas, dove motel, drive-in, distributori, wedding chapels e gigantesche illuminazioni vengono studiati e catalogati in quanto fenomeni di comunicazione architettonica.

Ho letto questo libro ai tempi dell’università e quest’estate ho avuto la fortuna di trovarmi a camminare lungo la Strip, abbagliata dalle insegne luminose. In neanche mezz’ora sono passata dal lago di Como, all’antica Roma a New York City. Perché a Las Vegas è così: piramidi egizie svettano accanto a gondole veneziane, statue greche e colonnati romani affiancano esotiche pagode o chioschi a forma di hamburger. E’ un luna park dove il kitsch, la stravaganza e la monumentalità sono le parole d’ordine. Una grandiosità che ormai non ci sorprende neanche più di tanto, rispetto allo sviluppo imperante delle metropoli orientali, quali Singapore, Dubai o Abu Dhabi. Quaranta o Cinquanta anni fa questo scalpore lo destava la Strip di Las Vegas e Venturi, la Scott Brown ed Izenour ne hanno colto ironicamente il carattere di pleonastica avanguardia.

Gli architetti non smettono mai di imparare e come disse Venturi possiamo imparare da Roma, da Las Vegas, ma anche guardandoci attorno ovunque ci capiti di trovarci.

Tutte le foto: R. Venturi, D. Scott Brown, S. Izenour, Learning from Las Vegas – The forgotten Symbolism of Architectural Form,
1972, The Massachusetts Institute of Technology

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