Il periodo di emergenza Covid-19, al momento, sembrerebbe finito. Come abiteremo da adesso in poi il pianeta? Come vivremo le nostre città, gli spazi pubblici e quelli privati della quotidianità? Prova a rispondere a tali quesiti Stefano Boeri sull’ultimo numero di AD Italia, che immagina il futuro prossimo non come una rivoluzione ma piuttosto un’accelerazione di tendenze giù in atto. Partendo dagli ambienti domestici dal suo punto di vista tre saranno le grandi sfide ed opportunità che l’architettura dovrà affrontare:
Monocalizzazione delle camere da letto
Foto via tomoarchitects.com
Foto di
In primis un ruolo centrale ed autonomo sarà conferito alle camere da letto, non più esclusivamente luoghi dediti al riposo e al relax, ma capaci di trasformarsi in spazi attrezzati in grado di svolgere una pluralità di funzioni. Le camere dovranno essere adatte al lavoro, all’incontro e talvolta al consumo dei pasti, specialmente nelle differenti forme di coabitazione che insistono nelle grandi città, dove si trovano sotto lo stesso tetto studenti fuori sede, giovani lavoratori, famiglie con anziani e badanti.
Il filtro veranda
Via kaderstudio.eu
Foto di Jack Hobhouse
Tornerà necessaria la presenza di un’area filtro tra interno ed esterno, una soglia indipendente dall’appartamento da usare in base alle esigenze mutevoli dell’utenza. Da deposito a soglia, e viceversa. Uno spazio aerato, che possa essere indipendente talvolta dall’appartamento e che all’occorrenza invece ritorni ad essere il punto in cui sostano tutte le cose che ci servono quando usciamo di casa.
Logge e spazi verdi
Foto di Sergio Grazia
Foto di Nicole Franzen
Su questo non si transige: gli alloggi dovranno disporre di balconi, logge e terrazze aperti verso il paesaggio e la città. I tetti diventeranno abitabili e i piani terra saranno spazi semi-pubblici per la collettività, dove prenderanno vita eventi di quartiere, orti urbani, attività artigianali e d’incontro, svolgendo il ruolo che nella città ottocentesca era relegato ai cortili.
In copertina veranda di Nate Berkus e Jeremiah Brent a New York – Foto di Nicole Franzen